Ciò che appare importante è che per la prima volta, esiste un istituto con compiti definiti, eseguiti mediante operazioni determinate sul piano tecnico, dotato di piena autonomia.
Viene in tal modo ad affermarsi quel carattere di intermediazione dell'attività bancaria che si era andato accentuando negli anni precedenti; il deposito, il giro e le altre transazioni monetarie non sono più attività ausiliari e complementari rispetto agli altri affari gestiti dal banchiere, ma acquistano una propria autonoma validità.
Ulteriori e più ragguardevoli progressi sul piano sia delle funzioni che della tecnica di banca dovevano raggiungersi pochi decenni dopo in Gran Bretagna, attraverso un processo storico che portò, nel 1694, alla creazione della Banca d'Inghilterra. L'istituto venne costituito come società anonima. Fu concesso alla banca di negoziare biglietti o effetti commerciali o lettere di cambio; di commerciare oro e argento, sia in monete che in verghe, di ricevere in deposito merci e concedere sovvenzioni ai depositanti, di assumere ipoteche fondiarie, con l'autorizzazione a vendere i relativi prodotti; di fare anticipazioni al governo, di emettere biglietti pagabili a vista e al portatore, fino a concorrenza del capitale della banca, salvo diversa autorizzazione.
Rispetto ai procedimenti bancari impiegati nei secoli precedenti, veramente originali erano le operazioni di anticipazione su pegno di merci e la emissione di biglietti di banca. La copertura di questi ultimi era così garantita dal capitale. I biglietti di banca, inizialmente fruttiferi, successivamente divennero titoli infruttiferi pagabili a vista, e cioè, dal punto di vista tecnico, vere e proprie banconote.
Il lungo e lento processo di maturazione, cominciato secoli prima, giunge così a compimento.
Infatti, con l'esercizio dei depositi irregolari, degli sconti di effetti pagati con biglietti e delle aperture di conto corrente, la banca moderna poteva dirsi ormai costruita nelle sue linee fondamentali; essa, infatti, cessava di essere solo una istituzione monetaria, diretta a facilitare i pagamenti dei commercianti, per divenire un mirabile organo creditizio, che riceve denaro a credito, che paga con promesse di pagamento, ossia con credito, che vende credito.
Alla funzione monetaria, che acquista ora minore rilievo, si aggiunge quella creditizia, che diviene il centro dell'attività bancaria.
BIGLIETTO DI BANCA e biglietto di stato. - Il biglietto di banca o banconota è un buono emesso da una banca a ciò autorizzata la quale si obbliga a pagare a vista e al portatore; quando tale titolo invece è emesso dallo stato, per lo più per il tramite di una banca, allora si chiama biglietto di stato. In economia politica si definisce: "la promessa fatta da un banchiere di pagare una somma determinata al portatore e a vista". Nella sua fisionomia economica e giuridica attuale, il biglietto è il risultato di una spontanea evoluzione relativamente moderna. Procede dalla trasformazione delle ricevute di depositi rilasciate da banchieri e circolanti dapprima per girata fra i loro clienti. Successivamente viene emesso per somme fisse e rotonde; si cessa di scrivere su di esso il nome del depositante o creditore; la banca rinunzia a qualsiasi compensazione con eventuali altri debiti del portatore del biglietto di banca, dandogli anzi un diritto di preferenza su tutti gli altri creditori. La figura del biglietto risulta cosi compiuta e perfetta.
Nelle prime forme, la sua emissione fu completamente libera, rientrando nelle
operazioni normali delle banche che la praticavano. E tale rimase a lungo in
qualche paese; particolarmente in Scozia, dove anche ditte commerciali
ordinarie ne usavano. In Inghilterra, essa rimase di diritto comune. Celebre la controversia che si agitò, nella
prima metà del sec. XIX, fra i fautori della piena libertà di emissione (scuola bancaria), che si richiamavano ad Adam Smith, e i sostenitori di una
regolamentazione più o meno rigorosa, e di un vigile controllo della
importantissima operazione (scuola metallica),
seguaci e illustratori delle teorie di Davide Ricardo. Dal 1850 in poi prevale la seconda corrente.
I secoli di relativa libertà hanno
tuttavia giovato, non soltanto a permettere che l'evoluzione tecnica del
biglietto si svolgesse in un campo di più larga sperimentazione, ma anche a
darle singolare impulso in un'epoca in cui, per la poca entità dei depositi, la
scarsità di capitali mobiliari e l'insignificante uso di altri più moderni
effetti di pagamento, il biglietto fu strumento quasi esclusivo della
dilatazione delle operazioni di credito pubblico e privato, che furono fattore
indispensabile della metamorfosi economica e politica dell'età moderna e
contemporanea.
Per le strette interferenze fra
circolazione bancaria e circolazione metallica, non meno che per gli abusi a
cui la libertà di emissione diede luogo e le conseguenti rovine, era naturale
che assai presto gli stati intervenissero a disciplinare il fenomeno, e, il più
delle volte, da principio, anche per avocarne a sé il vantaggio finanziario. Ma soltanto nel sec. XIX i principî del regime legale dei biglietti si
concretarono, dettando norme precise per la loro sicurezza e garanzia; le quali
norme consistevano principalmente nel determinare un rapporto minimo fra
circolazione e riserva, destinato ad assicurarne il rimborso a vista. A quattro
si riducono i metodi principali adottati per raggiungere lo scopo: 1. della
riserva parziale (legge bancaria inglese del 1844: somma fissa di emissione
totalmente scoperta; tutta l'eccedenza interamente rappresentata da moneta
metallica in cassa); 2. della riserva proporzionale (percentuale di riserva sul
totale dell'emissione, limitato anch'esso a un massimo insuperabile, o
superabile soltanto a gravose condizioni); è il sistema vigente in Italia; 3.
del massimo fisso di emissione, senza prescrizione tassativa di riserva
(Francia, fino alla legge del giugno 1928, che applica anche alla Banca di Francia
il metodo della proporzionalità); 4. della riserva per titoli (emissione
proporzionata ai valori pubblici depositati presso il tesoro); metodo preferito
nelle due Americhe, fino alle recenti riforme delle banche di emissione, e non
abolito negli Stati Uniti che nel 1912, quando vi si sostituì quello della
riserva proporzionale, di tipo europeo. Correlativo all'intensificarsi del
controllo legale fu dovunque il processo di concentrazione nell'emissione dei
biglietti, per il quale da una pluralità, talora grandissima, d'istituti
emittenti, si passò gradatamente a pochissimi, con tendenza universale e
visibile al monopolio unitario, in più luoghi già da tempo raggiunto. Al regime
di stretto vincolo che si è venuto sostituendo alla libertà della banca, quanto
all'emissione, corrisponde d'altro lato un'autonomia sempre maggiore della
banca rispetto al tesoro dello stato, che, coi suoi bisogni e richieste, fu nel
passato, in tutti i paesi, causa frequente di dissesto per gl'istituti
emittenti. Entro l'orbita fissata dalla legge, questi vengono sempre più
considerati come enti investiti di funzione pubblica indipendente, gelosamente
emancipati da ogni pressione e volontà dei poteri politici. La guerra mondiale
segnò un brusco arresto, poi un regresso, in questa tendenza; e il biglietto di
banca, divenuto biglietto di stato, subì tutte le ripercussioni
dell'indebolimento monetario. Ma dovunque il ritorno alla moneta sana ebbe come
condizione preliminare e strumento efficacissimo il ripristino, in forma anche
più rigorosa, delle garanzie tutelanti le banche dall'ingerenza dei governi e
l'investitura più solennemente loro conferita di regolare l'emissione secondo i
bisogni del credito economico privato, con finalità e criterî di utilità
generale e osservanza scrupolosa dei più sicuri principî tecnici, confermati
dalla grandiosa esperienza di quegli anni con evidenza ineccepibile.
In Italia il biglietto di banca,
nella sua perfetta espressione, risale ad epoca relativamente recente, sebbene
i suoi progenitori (specialmente i certificati di deposito) vantino fra noi
origine forse più antica e storia almeno altrettanto varia e istruttiva quanto
in qualsiasi altro paese. Soltanto dopo molti contrasti e difficoltà sorsero,
nel 1846 e 1847, a Genova e a Torino, le due prime banche di emissione vere e
proprie che, fuse nel 1849, divennero la Banca nazionale sarda. Ma i biglietti
da essa emessi circolavano ancora assai scarsamente, fuorché nei maggiori
centri, fra il 1850 e il 1860. Esistevano a quella data nelle regioni annesse
al Piemonte più istituti che emettevano effetti pagabili a vista, mancanti però
quasi sempre di qualcuno dei caratteri essenziali del vero biglietto. Solo la
Banca nazionale toscana e la Banca dello Stato pontificio potevano ritenersi
investite di una vera facoltà di emissione, ma limitata nel fatto a proporzioni
modestissime. Nominative e trasmissibili per girata erano ancora le "fedi
di credito" e le "polizze" del Banco di Napoli e del Banco di
Sicilia. La Banca toscana di credito aveva in circolazione soltanto dei
"buoni di cassa". All'unificazione politica seguì un periodo di assai
larga libertà bancaria, nel quale numerosi istituti grossi e piccoli assunsero
l'emissione. La legge 10 agosto 1893, concentrando nella nuova Banca d'Italia la Banca
nazionale sarda e le due toscane, con l'incarico di liquidare la fallita Banca
romana, diede finalmente alla circolazione fiduciaria una base tassativa e
solida, la quale, nelle linee essenziali, permane tuttora. I capisaldi
essenziali della riforma sono: a) limitazione della facoltà di emissione
al solo Banco d'Italia, al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia; b)
massimo di circolazione, superabile soltanto a rigorose condizioni per speciali
esigenze del mercato; c) riserva proporzionale del 40% in metallo o
effetti equiparati sui biglietti circolanti; d) divieto di operazioni
rischiose e aleatorie; e) controllo statale di gestione, con organi
appositi. Completata da successive disposizioni risanatrici dei banchi meridionali,
la legge 1893 raggiunse rapidamente i suoi scopi, tanto che la circolazione
discese al limite normale più presto che non fosse previsto. Il sistema così
adottato rimase integro, salvo correzioni formali di opportunità (circa il
massimo di emissione, le operazioni consentite, ecc.), fino alle nuove leggi 25
giugno e 7 settembre 1926 che concentrano nella sola Banca d'Italia la facoltà
di emissione, ne stabiliscono il massimo in 7 miliardi (elevabili a 8 soltanto
eccezionalmente o con particolarissime garanzie) e restituiscono al biglietto
bancario la sua genuina funzione, prescrivendo che abbia a cessare, per rapidi
gradi, l'emissione per conto e a debito dello stato, rimanendo unicamente
quella corrispondente a operazioni commerciali effettive e liquide.
Gli attuali istituti di emissione, come da noi la Banca d'Italia, godono di un monopolio in tale funzione e nello stesso tempo assurgono a regolatori del sistema bancario dei vari Stati.
In tutti i paesi si è infatti verificata la tendenza di sottoporre le banche a una disciplina che consenta il controllo dello Stato sull'attività creditizia e monetaria. Tale controllo, sorto all'origine come strumento di difesa del risparmio, si è trasformato in un mezzo per governare il sistema bancario a fini economico-politici e congiunturali.
In sintesi, i biglietti di banca all'origine venivano rilasciati contro deposito di monete metalliche e di metalli preziosi e avevano circolazione fiduciaria, erano cioè accettati sulla fiducia (e quindi potevano anche essere rifiutati nei pagamenti) ed erano convertibili in oro. Chiunque poteva presentare dei biglietti di banca e chiederne, all'istituto emittente, l'equivalente in oro o in monete metalliche.
In seguito venne attribuito alle banconote valore legale. Queste assumevano così potere liberatorio e dovevano essere accettate per legge come corrispettivo di beni e servizi e per l'estinzione dei debiti, pur rimanendo convertibili in oro presso la banca emittente.
Quando però gli Stati, in seguito a ingenti e continue spese non coperte da entrate correnti, misero in circolazione un ammontare di banconote molto superiore a quello del metallo prezioso custodito presso le banche di emissione, la convertibilità venne sospesa. Prese inizio così l'attuale circolazione a corso forzoso, nella quale il valore dei biglietti di banca è indipendente dalle riserve auree esistenti presso le banche di emissione.
La carta moneta inconvertibile che oggi circola rappresenta un debito a vista dello Stato o della sua banca centrale. Si tratta però di un debito molto particolare, che deve essere accettato da tutti in cambio di beni e servizi ma che lo Stato stesso non si impegna a onorare in quanto non ne effettua la conversione in metallo prezioso.
In tutti i paesi si è infatti verificata la tendenza di sottoporre le banche a una disciplina che consenta il controllo dello Stato sull'attività creditizia e monetaria. Tale controllo, sorto all'origine come strumento di difesa del risparmio, si è trasformato in un mezzo per governare il sistema bancario a fini economico-politici e congiunturali.
In sintesi, i biglietti di banca all'origine venivano rilasciati contro deposito di monete metalliche e di metalli preziosi e avevano circolazione fiduciaria, erano cioè accettati sulla fiducia (e quindi potevano anche essere rifiutati nei pagamenti) ed erano convertibili in oro. Chiunque poteva presentare dei biglietti di banca e chiederne, all'istituto emittente, l'equivalente in oro o in monete metalliche.
In seguito venne attribuito alle banconote valore legale. Queste assumevano così potere liberatorio e dovevano essere accettate per legge come corrispettivo di beni e servizi e per l'estinzione dei debiti, pur rimanendo convertibili in oro presso la banca emittente.
Quando però gli Stati, in seguito a ingenti e continue spese non coperte da entrate correnti, misero in circolazione un ammontare di banconote molto superiore a quello del metallo prezioso custodito presso le banche di emissione, la convertibilità venne sospesa. Prese inizio così l'attuale circolazione a corso forzoso, nella quale il valore dei biglietti di banca è indipendente dalle riserve auree esistenti presso le banche di emissione.
La carta moneta inconvertibile che oggi circola rappresenta un debito a vista dello Stato o della sua banca centrale. Si tratta però di un debito molto particolare, che deve essere accettato da tutti in cambio di beni e servizi ma che lo Stato stesso non si impegna a onorare in quanto non ne effettua la conversione in metallo prezioso.